Inchiesta sul culto del digiuno, farmaci e falsi guru del benessere
C’è una nuova ossessione che attraversa l’Italia: il corpo come progetto. Mangiare, non mangiare, digiunare, contare i passi, misurare la glicemia, iniettarsi l’ormone della sazietà. In un Paese che ha costruito la sua identità sul cibo, oggi la tavola è diventata un campo di battaglia. Da un lato, l’idea del digiuno intermittente come metodo per dimagrire: una pausa rigenerante capace di purificare il corpo e la mente. Dall’altro, l’arrivo dei farmaci per perdere peso, nati per il diabete ma trasformati in promessa di leggerezza immediata. Nel mezzo, un esercito di nutrizionisti, influencer e medici che cercano di dare un senso a una domanda sempre più confusa: chi sono gli esperti della nutrizione? Che cosa significa davvero mangiare bene oggi?

La rivoluzione del digiuno: il corpo che si “resetta”
Il digiuno non è una novità, ma la sua riscoperta come pratica salutare è un fenomeno recente e in crescita. “Non è un atto punitivo,” spiegano i medici che lo utilizzano come strumento terapeutico, “ma una pausa fisiologica che permette al corpo di mettere in ordine fegato, reni, cuore e intestino.” L’idea è che durante i periodi di astensione dal cibo l’organismo attivi una serie di processi di autopulizia metabolica: utilizza le riserve, elimina le scorie e riequilibra il metabolismo. È la versione biologica del “riordino della casa”: ogni tanto bisogna fermarsi, svuotare, ripartire. Non si parla però di digiuni estremi. Le forme più diffuse prevedono finestre di alimentazione — mangiare per 8 o 10 ore, e poi lasciare che il corpo riposi per il resto della giornata. Si chiama “time restricted feeding”, e molti la considerano la chiave per tornare a un ritmo più naturale.

“Il corpo non è fatto per mangiare in continuazione. Ha bisogno di pause, come il respiro o il sonno.”Non tutti però possono permetterselo: ci sono condizioni in cui il digiuno può diventare stress, e non guarigione. “Se una persona è già in uno stato di infiammazione o di ansia, digiunare può essere un trauma metabolico”. “Serve una valutazione seria, non il copia-incolla da YouTube.” Dietro la parola “digiuno” si nasconde una filosofia: smettere di vivere in eccesso. Il messaggio, in fondo, è più culturale che medico: tornare a distinguere tra fame reale e fame emotiva, tra ciò che serve al corpo e ciò che serve alla mente. L’educazione alimentare diventa quindi fondamentale per approcciare correttamente questa pratica.
Farmaci per perdere peso: il nuovo business della leggerezza
Mentre il digiuno conquista la narrativa del “naturale”, dall’altro lato la scienza offre la sua risposta tecnologica: i farmaci per perdere peso. Si tratta di molecole nate per trattare il diabete, ma che si sono rivelate capaci di ridurre l’appetito, far calare la glicemia e favorire una perdita di peso significativa. In teoria, dovrebbero essere una risorsa clinica per i casi gravi, quando la sola dieta non basta. In pratica, sono diventati oggetto del desiderio anche per chi non ha problemi patologici. “Non puoi avere quattro chili in più e pensare di risolvere tutto con una punturina,”. “Non è un cosmetico, è una terapia farmacologica con effetti importanti.”

I numeri parlano da soli: nelle farmacie e online si moltiplicano le richieste, spesso senza prescrizione. C’è chi si affida a canali paralleli, chi compra fiale su internet, chi si convince di poter gestire da solo un farmaco complesso. “Il rischio,” avvertono gli esperti, “è quello di curare il sintomo e ignorare la causa.” Qui entrano in gioco i rischi dei farmaci per dimagrire, che non devono essere sottovalutati. Perché il problema non è solo il peso, ma il sistema che lo genera: sedentarietà, alimentazione disordinata, stress cronico, sonno insufficiente.
Il farmaco agisce sul segnale della fame, ma non insegna a leggere i segnali del corpo. Quando la terapia finisce, i chili tornano. E insieme a loro, il senso di fallimento.
Dietro le promesse di leggerezza c’è anche il business dei farmaci per dimagrire, alimentato dal sogno di una soluzione rapida. “Non possiamo ridurre la salute a un ago o a una pillola. Il corpo non è un algoritmo da ricalibrare. È una storia da comprendere.”
Nutrizionisti, medici e “fuffa-guru”: chi ha il diritto di parlare di dieta
Mai come oggi la parola “nutrizionista” è diventata di moda. Sui social proliferano video, consigli e sfide detox. C’è chi insegna a “resettare il metabolismo”, chi promette “pancia piatta in 10 giorni”, chi sconsiglia i carboidrati come fossero veleno.
Ma chi sono gli esperti della nutrizione?

Oggi in Italia esistono tre figure principali:
- il dietologo, medico specializzato in scienze dell’alimentazione, che può fare diagnosi e prescrivere farmaci;
- il biologo nutrizionista, che elabora piani alimentari ma non può diagnosticare patologie;
- il dietista, che applica la dietetica in ambito clinico e lavora spesso in equipe con i medici.
Una distinzione che pochi conoscono, e che alimenta confusione. “Il problema, è che troppe persone si affidano al primo che trovano online. Ma senza diagnosi non esiste terapia, e senza terapia non esiste guarigione.” La differenza la fa la personalizzazione: età, sesso, attività fisica, stato metabolico, persino il livello di stress incidono sul tipo di alimentazione ideale. Eppure, l’idea di una dieta universale continua ad affascinare. Ogni anno esce un nuovo “metodo”, un nuovo libro, una nuova promessa. Ma se fosse davvero così semplice, “perché allora non ci va bene niente?” L’inchiesta mostra un Paese diviso: da una parte chi cerca nel cibo un equilibrio profondo, dall’altra chi lo vive come un nemico.
E nel mezzo, una selva di informazioni contraddittorie, dove spesso vince chi urla più forte, non chi è più competente.

Il digiuno come bussola culturale
Nonostante i rischi di banalizzazione, l’interesse per il digiuno sembra segnare un cambio di paradigma. Non si parla più solo di calorie o bilance, ma di ritmo biologico, di pausa come atto di salute. In un mondo che spinge a fare tutto di più — lavorare, produrre, mangiare, consumare — il digiuno rappresenta una forma di resistenza: il diritto di fermarsi. È un messaggio che va oltre il corpo: un invito a riscoprire la lentezza, la consapevolezza, il silenzio metabolico. E forse è proprio questa la ragione del suo successo: non è una dieta, è una filosofia di vita. Molti specialisti lo descrivono come un modo per rieducare il corpo alla sensazione di fame vera. “Non abbiamo più fame, abbiamo desiderio. Mangiamo per noia, per ansia, per abitudine. Il digiuno insegna a distinguere.”
Non si tratta di demonizzare il cibo, ma di ricostruire un rapporto sano con esso.
Mangiare quando serve, non quando capita. Smettere di trattare il corpo come un nemico da controllare e cominciare a vederlo come un alleato da comprendere.
Tra medicina e marketing: una frontiera da difendere
L’inchiesta mette in luce una contraddizione profonda: mai come oggi abbiamo avuto accesso a tante conoscenze sulla nutrizione, eppure mai come oggi siamo confusi.
Ogni mese nasce una dieta, ogni giorno un integratore promette miracoli, ogni settimana un nuovo influencer si improvvisa esperto. Dietro questo caos c’è un paradosso culturale: vogliamo la scienza, ma non la pazienza. Vogliamo i risultati, ma non il percorso. E così alterniamo il digiuno al farmaco, la rinuncia alla dipendenza, senza mai fermarci a capire.

Ma la vera innovazione non è la dieta del momento o la molecola rivoluzionaria.
È l’educazione alimentare, la capacità di leggere i segnali del corpo e affidarsi a chi ha studiato per interpretarli. È smettere di cercare il miracolo e tornare alla misura.
La fame di equilibrio
L’Italia è il Paese della cucina, ma anche della contraddizione: amiamo il cibo, e allo stesso tempo lo temiamo. Ci affidiamo alle ricette della nonna e alle app che contano le calorie. Passiamo da digiuni spirituali a terapie farmacologiche, da “mangia tutto” a “non mangiare niente”. Eppure, dietro questa confusione, si asconde una verità semplice: non abbiamo fame di cibo, ma di equilibrio. Equilibrio tra scienza e natura, tra libertà e responsabilità, tra desiderio e bisogno. Il corpo umano non chiede di essere perfetto. Chiede solo di essere ascoltato. Forse è da lì che dovrebbe ripartire la vera rivoluzione alimentare: non dalla bilancia, ma dalla coscienza.
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