L’artista come merce: il paradosso del mercato musicale

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Nel mercato della musica contemporanea, l’artista non è più soltanto un creatore di bellezza, ma una pedina all’interno di un ingranaggio economico costruito per generare profitto. L’industria musicale — che un tempo si presentava come il tempio dell’ispirazione e della libertà creativa — è oggi una macchina perfettamente oliata, dove il talento viene sistematicamente trasformato in prodotto, e la passione in capitale.

L’artista come merce: il paradosso del mercato musicale – L’industria della musica

L’artista, mosso da un impulso spirituale, da un bisogno di espressione autentica, viene catturato dal sistema e inserito in un ciclo di produzione che ha come unico fine la redditività. Che i soldi arrivino direttamente dall’artista o dal suo pubblico, poco importa: ciò che conta è che la macchina economica continui a girare. Più un artista genera profitto, più diventa oggetto di sfruttamento. È questa la regola non scritta del mercato.

Dal genio alla star: la costruzione del prodotto

Il percorso è spesso lo stesso. Un giovane con talento emerge grazie alla propria unicità. In breve tempo, viene individuato da un’etichetta o da un’agenzia di management, che ne “ripulisce” l’immagine, ne calibra la voce e il look, ne adatta i contenuti alle richieste del pubblico e alle logiche del mercato. Come affermava David Bowie, che aveva ben compreso il lato oscuro dello show business:

“L’artista di oggi deve essere tanto consapevole dell’immagine quanto della musica. L’industria non perdona chi non sa vendersi.”

È così che molti artisti finiscono per essere “brandizzati”: non più individui che comunicano un messaggio, ma marchi che incarnano un target di consumo. Britney Spears, negli anni Duemila, ne è stata uno degli esempi più eclatanti — trasformata in simbolo perfetto della cultura pop commerciale, al punto da perdere temporaneamente il controllo della propria vita e carriera. Anche figure più recenti come Billie Eilish o Travis Scott, pur mantenendo una certa indipendenza creativa, devono comunque confrontarsi con la costante pressione di mantenere un “personaggio” redditizio.

Il profitto come misura del valore

Il problema non è solo economico, ma culturale. Il mercato ha progressivamente sostituito il concetto di “valore artistico” con quello di “valore commerciale”. In altre parole, un brano di successo è oggi considerato valido non perché comunica un’emozione o una verità, ma perché genera clic, stream, visualizzazioni e sponsorizzazioni.
Come scriveva Theodor W. Adorno, critico della cultura di massa e filosofo della Scuola di Francoforte:

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Mercato musicale – L’industria della musica

“La cultura di massa è una fabbrica di standardizzazione spirituale. L’arte, trasformata in merce, perde la sua funzione critica e si piega alle regole della produzione industriale.”

Lo stesso concetto è visibile nella logica dello streaming, che domina il mercato odierno: piattaforme come Spotify o Apple Music premiano la quantità più della qualità. I brani devono durare poco, catturare subito l’attenzione, essere “playlistabili”. L’artista si trova così costretto a produrre continuamente, spesso sacrificando la profondità per la viralità.

Dall’arte alla catena di montaggio

Oggi, anche le canzoni nascono in “fabbrica”: team di autori, produttori e analisti di dati studiano ciò che funziona, ciò che vende, ciò che “suona bene” per l’algoritmo. Il risultato è una musica sempre più omogenea, standardizzata, prevedibile.
Lo confermava Rick Beato, produttore e youtuber americano, in un’intervista:

“Non c’è più rischio nella musica mainstream. Tutto è progettato per non far cambiare stazione all’ascoltatore. È l’arte della non-distinzione.”

In questo contesto, l’artista che cerca di preservare la propria autenticità diventa un outsider. Alcuni, come Prince o Radiohead, hanno tentato di ribellarsi al sistema, scegliendo di produrre autonomamente la propria musica e di distribuirla in modo indipendente. Ma per ogni voce libera, decine di altre vengono assorbite, rimodellate, e infine consumate.

Conclusione: il prezzo dell’anima

L’arte, nel suo senso più profondo, dovrebbe essere un atto di libertà e di ricerca spirituale. Ma nel mercato musicale contemporaneo, l’artista è spesso costretto a scegliere tra sopravvivenza e autenticità.
Il sistema lo illude con fama e successo, ma in cambio gli chiede l’anima.
E mentre le classifiche si riempiono di hit effimere e formule ripetute, la vera arte resta ai margini, in cerca di ascoltatori disposti a riconoscere il valore che va oltre il profitto.

Come scrisse Jim Morrison:

“Il vero artista rivela se stesso, non ciò che vende.”

Dati di mercato che confermano lo sfruttamento dell’artista nella logica del profitto

Questi numeri mostrano come il mercato musicale non solo cresca, ma sia fortemente orientato verso modelli che premiano la quantità, la standardizzazione e la visibilità — elementi che spesso costano all’artista autonomo o spiritualmente motivato molto di più di quanto rendano.

Trend globali

  • Il mercato globale della musica registrata nel 2024 ha registrato ricavi totali per circa 29,6 miliardi di dollari, con una crescita del 4,8% rispetto all’anno precedente. IFPI+1
  • Lo streaming in abbonamento è il principale motore della crescita: +9,5% nel 2024. IFPI+1
  • A fine 2024, si contano 752 milioni di utenti a livello globale con abbonamento streaming alle piattaforme musicali. IFPI+1
  • Lo streaming (includendo le versioni gratuite con pubblicità) costituisce ormai il 69% dei ricavi globali da musica registrata. IFPI+1

Situazione in Italia sul mercato musicale e l’industria della musica

  • Il mercato musicale italiano ha chiuso il 2024 con un fatturato discografico di €461,2 milioni, segnando una crescita dell’8,5% rispetto all’anno precedente. Fimi
  • Lo streaming rappresenta circa il 67% dei ricavi complessivi nel mercato italiano (≈ €308,1 milioni). Fimi+1
  • Il numero di stream in Italia nel 2024 è stato di 95 miliardi, in aumento del 31% rispetto al 2023. QuiFinanza+1
  • Ricavi dallo streaming audio in abbonamento in Italia: ~€204 milioni; da streaming video: ~€53 milioni; streaming con pubblicità audio: ~€50 milioni. QuiFinanza
  • Spotify, da parte sua, ha distribuito in Italia royalties per €126 milioni (+20%) agli artisti nel 2023. ANSA.it
  • Sempre su Spotify, quasi 1.500 artisti nel 2024 hanno guadagnato più di 1 milione di dollari in royalties, e il 80% di questi non aveva brani nella “Global Daily Top 50”. ANSA.it
mercato musicale l'industria della musica streaming
Mercato musicale – L’industria della musica

Interpretazione critica: cosa significano questi numeri sul piano dello sfruttamento

  1. Dominio dello streaming: Il fatto che lo streaming costituisca ormai la quasi totalità dei ricavi (globale 69%, Italia 67%) significa che il sistema di remunerazione dell’artista è quasi interamente condizionato dalle regole delle piattaforme, dagli algoritmi, dalle playlist e dal numero di ascolti. Se uno non entra nelle playlist giuste, il guadagno è minimo.
  2. Crescita ma non uniformità: Anche se i numeri totali salgono, la distribuzione è molto ineguale. Pochissimi artisti (i “big”) guadagnano somme considerevoli; molti altri, anche con un buon seguito, restano marginalizzati. L’esempio dei 1.500 artisti che superano 1 milione di dollari è illuminante, ma implica che migliaia non lo fanno — e spesso questi sono artisti con una forte componente “artistica” ma meno mainstream.
  3. Pressione sulla produzione continua: Per mantenere un livello di visibilità sufficiente (playlist, streaming, abbonamenti), è necessaria una produzione costante. Questo può spingere gli artisti a sacrificare tempi di riflessione, sperimentazione, cura artistica per rispondere alle esigenze del mercato (format, velocità, tendenze).
  4. Dipendenza dalla piattaforma: I dati mostrano che le piattaforme come Spotify sono diventate gatekeeper: royalties, visibilità, discovery dipendono molto da loro. Se un artista è sotto etichetta, con buon management, ha più chance; l’artista indipendente rischia di avere meno leva per contrattare condizioni e divisione dei ricavi.
  5. Il “peso” delle royalties è diviso: Anche quando i numeri sono grandi, non “tutto va all’artista”. Ci sono etichette discografiche, editori, distributori, produttori, altri aventi diritto che prendono una parte. Così l’artista spesso riceve solo una frazione del ricavo generato.

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