Nessuno è profeta in patria: perché una band rock metal non deve contare sul supporto di amici, parenti e colleghi

Nemo propheta in patria – nessuno è profeta nella propria terra – è un detto antico, ma tragicamente attuale, soprattutto nel mondo dell’arte e della musica. Per una band rock/metal emergente, questo principio assume un valore quasi sacro: l’illusione che le persone a noi più vicine siano le prime a supportarci è non solo ingenua, ma spesso dannosa. La realtà è che amici, parenti e colleghi sono spesso i primi a ostacolare, sminuire o ignorare il percorso artistico, mossi da dinamiche psicologiche profonde come l’invidia, la gelosia e l’incapacità di tollerare la crescita altrui.

L’identificazione statica: “Chi sei tu per provarci?”

Le persone che ci conoscono da sempre tendono ad avere un’immagine statica di noi. Se sei stato “quello che suona in cameretta” o “quello con la passione strana per il metal”, per molti sarai sempre e solo quello. Quando inizi a portare quella passione su un palco, a produrre musica originale, a ricevere attenzioni esterne, rompi l’immagine che avevano costruito. E questo disturba. Non riescono ad accettare il fatto che tu stia evolvendo, che tu abbia ambizioni reali. Così il supporto si trasforma in sarcasmo, indifferenza o critiche non costruttive.

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L’invidia e la frustrazione proiettata

Molti non riescono a tollerare che qualcuno vicino a loro provi a uscire dai binari. Il tuo coraggio diventa il loro specchio. Il fatto che tu osi creare, provare, salire su un palco li mette davanti alle loro rinunce e ai loro fallimenti. E così nasce l’invidia. Non sempre manifesta, anzi: spesso mascherata da consigli non richiesti, battute, o un silenzio assordante ogni volta che condividi un traguardo. Il successo – anche solo il tentativo – viene percepito come una minaccia.

Il bisogno di tenerti “al tuo posto”

In contesti piccoli o medi (paesi, province, uffici), ogni tentativo di emergere viene vissuto come un atto di superbia. Non conta quanto tu sia talentuoso: conta che tu “non ti creda migliore”. Questo atteggiamento tossico alimenta un clima in cui si cerca continuamente di ridimensionare l’artista, magari lodando chi viene da fuori e ignorando sistematicamente il talento locale. È qui che il detto Nemo propheta in patria si manifesta con crudele precisione.

Il parassitismo emotivo

Ci sono amici e parenti che ti “supportano” solo finché non superi la soglia del gioco. Finché suoni nel garage, va bene. Ma se inizi a ottenere attenzione, concerti, recensioni, allora cambia tutto. Non ti seguono più. Non condividono nulla. Non vengono ai live. Peggio: iniziano a sparlare, a criticare ogni dettaglio, come se volessero riprendersi lo spazio che hai osato occupare. In realtà, stanno solo rivelando una debolezza interiore: la loro incapacità di accettare che tu stia costruendo qualcosa di reale.

La vera forza è l’estraneità

Una band rock/metal deve imparare da subito a guardare oltre il proprio cerchio sociale. Il vero pubblico, i veri fan, non saranno gli amici d’infanzia o i cugini: saranno sconosciuti, persone che ti giudicheranno solo per la tua musica, per la tua presenza, per la tua verità artistica. Il sostegno autentico nasce fuori, non dentro. È lì che va cercata la conferma, la critica, l’energia. Perché se aspetti l’approvazione di chi ti ha sempre dato pacche sulle spalle, rischi di morire sul nascere.

In arte, come nella vita, la fedeltà al proprio fuoco creativo conta più del bisogno di essere capiti da chi non è disposto a farlo

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